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IL COMMISSARIO PELISSIER
(MAX ET LES FERRAILLEURS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 dicembre 1971
 
di Claude Sautet, con Romy Schneider, Michel Piccoli, François Périer (Francia, 1971)
 

La coppia Sautet-Piccoli ci aveva dimostrato di saper fare del cinema sensibile (LES CHOSES DE LA VIE), ma non patetico, attento al valore dei sentimenti, senza essere sdolcinato (vedi Lelouch), un cinema del microcosmo che scruta le piccole cose della vita per cercare le verità più grandi. Cambiando registro, ed affrontando un tema apparentemente di largo consumo (il poliziesco), Sautet riesce ancora a far centro, ad uscire dal contesto puro e semplice del racconto per raggiungere una propria dimensione, una atmosfera particolare, diciamo pure una sua poesia. Michel Piccoli, ancora una volta di un'attenzione interpretativa direi unica nel cinema francese d'oggi, è il poliziotto che, per riscattarsi di fronte ai terzi, monta un colpo su misura (per se stesso), ai danni, è il caso di dirlo, di una banda di ladruncoli. Ma la critica a quella che potremmo definire la mentalità utilitaristica della polizia non è condotta, (come fa Petri in INDAGINE, ad esempio) a fini sociali, morali o politici, ma per giungere all'incontro con la psicologia di un individuo. Sautet, che sembra ben essere l'erede di un certo intimismo francese caro a Becker (al quale è stato giustamente avvicinato), trae dall'incontro fra Piccoli e Romy Schneider (più che convincente) un'infinità di piccoli motivi per intraprendere un viaggio in quella indefinibile, ma concreta tensione psicologica che si crea talvolta nei rapporti fra due persone. Il film è quindi la storia di questo viaggio, fatto sulle tracce a volte esili di uno sguardo o di un gesto afferrato di sfuggita, sul significato di oggetti e di momenti anche insignificanti, ma ai quali Sautet dona una indubbia carica emotiva.

La mano del regista non si limita ad un ritratto dell'intimo dei protagonisti: anche nei personaggi che fanno da sfondo, vedi la banda dei "ferrailleurs", il tono di Sautet è di una felicità eclatante. Quell'illustrazione così leggera, priva delle intonazioni paternalistiche e moraleggianti in uso solitamente, la comprensione con la quale Sautet guarda ai ladruncoli eternamente in bilico fra il dramma e la farsa, fra l'illegalità e la paura delle sue conseguenze, fra violenza ed incoscienza, fra l'impossibilità di una vita borghese e le tentazioni della stessa, è fra le cose più belle del film .

Il cinema di Sautet non è forse un cinema esplicitamente "impegnato" come quello di altri registi che si sono occupati di recente della polizia. Ma le strade per giungere alla grazia essendo infinite questa è certamente fra quelle.


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